Da luogo di pace e spiritualità francescana a sacrario dei caduti di guerra. Il convento è indubbiamente una delle perle di Martinengo. Visitalo con noi…
Sintesi Fatto edificare da Bartolomeo Colleoni per sciogliere un voto della moglie Tisbe nel 1474, il convento ospita le monache clarisse per più di trecento anni, fino alla sua definitiva chiusura nel 1812. È quindi trasformato in collegio convitto sotto il regno Lombardo-Veneto, rivelandosi però un focolaio di simpatie risorgimentali. Sebbene negli anni Trenta sia stato modificato, almeno in esterno, secondo l’architettura del regime fascista, che ne converte una parte in Sacrario dei Caduti, resta ancora visibile l’impianto originario tipicamente francescano a doppia aula divisa da tramezzo, con facciata a capanna, chiostro e campanile cuspidato. Si possono ammirare anche gli affreschi del tramezzo che divideva l’aula pubblica da quella claustrale. Realizzati dal Maestro di Martinengo raccontano la vita e la Passione di Cristo e la devozione francescana. Sopra l’altare dell’aula pubblica si trova la pala dipinta nel 1936 da Girolamo Poloni, chiaro segno della nuova destinazione della chiesa.
Per saperne di più
Edificato per volontà di Bartolomeo Colleoni per esaudire un voto della moglie, Tisbe Martinengo (scomparsa nel 1471), il Monastero di Santa Chiara ebbe vita lunga e tormentata. Iniziato nel 1474, abitato dalle Clarisse dal 1479, viene soppresso nel 1798 da Napoleone e chiude definitivamente nel 1810. Dal 1822 nelle sue sale viene insediato il Collegio Convitto. In seguito vi trovano posto la scuola elementare, la banda musicale, un dopolavoro.
Negli anni Venti la chiesa e il coro sono salvati dall’insensato proposito degli esponenti del Fascio di trasformarli in cinema-teatro abbattendo il tramezzo e l’altare. Vengono invece riconvertiti in Sacrario dei Caduti nel 1936. La trasformazione coinvolge gli spazi antistanti: il muro di clausura che cingeva il complesso è sostituito da cinque alti archi in stile fascista e nel cortile viene collocato il Monumento ai caduti di Giuseppe Siccardi.
Le strutture del complesso erano sorte nel segno di una grande austerità, contrassegnata, nel chiostro grande, dagli ordini sovrapposti di logge ad archi su pilastri di muratura.
Ai margini si estendeva un orto protetto su tre lati da un’altissima recinzione in ciottoli di fiume, e sul quarto da un’elegante loggia con archi a tutto sesto retti da colonnine in pietra arenaria. Dal chiostro, ricostruito nel XVII secolo, si può ammirare il campanile quattrocentesco a cuspide conica simile a quello del monastero dell’Incoronata.
La chiesa, secondo l’uso francescano, è divisa in due aule distinte: quella aperta al pubblico, attuale Sacrario dei Caduti, prospetta su via Allegreni; e quella un tempo riservata alle monache.
In quest’ultima aula rimane il tramezzo interamente ricoperto di affreschi quattrocenteschi attribuiti al tutt’oggi ignoto Maestro di Martinengo. In questi, oltre alla formazione prettamente lombarda dell’artista, si può osservare anche il suo attento studio di altri grandi maestri italiani, come Mantegna: la Deposizione dalla croce, collocata al centro della parete, è realizzata seguendo l’incisione di medesimo soggetto realizzata dal pittore padovano. L’episodio delle Stimmate di San Francesco è quasi una riproduzione fedele di quello affrescato nella Basilica Superiore di Assisi da Giotto. Il paesaggio montagnoso e privo di vegetazione ricorda quello che fa da sfondo all’affresco strappato conservato nella sala capitolare dell’Incoronata, nella quale pure è rintracciabile il suo pennello. Nella parte superiore si trova un’Annunciazione, molto somigliante a quella dell’arco trionfale della stessa chiesa. Nella parte inferiore l’apertura di due porte laterali ha quasi interamente distrutto i riquadri con i santi Bernardino, Antonio e Giovanni Battista, di cui si riconoscono soltanto le teste molto rovinate sulla sinistra.
Del tramezzo dell’aula pubblica non restano che le due scene laterali e parte del fregio di cornice. Il primo riquadro a sinistra dell’altare maggiore, presenta San Francesco che dà l’abito a Santa Chiara nella chiesa della Porziuncola. Al centro la santa in ginocchio tiene la candela accesa, mentre san Francesco le offre l’abito e la benedice. A destra due frati assistenti e l’altare sul quale spicca vistosamente il biondo della ciocca di capelli recisi. A sinistra, inginocchiate, a mani giunte e col capo coperto dal velo bianco, Tisbe Martinengo con accanto tre delle figlie, probabilmente quelle già decedute. Accanto, in piedi, un uomo, forse uno scudiero, e, con la berretta di capitano in testa, Bartolomeo Colleoni, anacronisticamente giovane vista la data probabile di esecuzione degli affreschi, successiva al 1474 (ricordiamo che il Colleoni è nato fra il 1395 e il 1400 ed è morto nel 1475).
Colpisce l’intensità e la vivezza degli sguardi dei personaggi rivolti devotamente verso i due santi; l’unica figura che sembra distratta e volge lo sguardo ad un invisibile spettatore fuori campo è proprio Santa Chiara.
L’affresco sulla destra illustra un altro noto episodio della vita di Santa Chiara, tramandato dal libro dei Fioretti di San Francesco, dove si racconta della visita fatta alla santa dal Papa. Davanti alla tavola preparata per il pranzo, il Pontefice le chiede di benedire il pane: avendo quella obbedito, i pani sulla tavola ricevono l’impressione della Croce. Anche in questa scena gli astanti sono ritratti con mirabile forza espressiva, mentre con occhi attenti e stupiti guardano il gesto benedicente di Chiara e le pagnotte fiorite di una Croce che spiccano sulla candida tovaglia della mensa.
La pala d’altare che dal 1936 sostituisce quella tardo seicentesca è opera di Girolamo Poloni, pittore martinenghese, e testimonia in modo commovente la destinazione a sacrario della chiesa: Cristo coronato di spine sostiene il corpo di un soldato ferito a morte circondato da impalpabili angeli.
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