Ripercorrendo la storia antica e recente di Martinengo si ha la fortuna di imbattersi in personalità interessanti il cui nome è spesso risuonato ben oltre i confini della bergamasca.
Maestro di Martinengo
Del Maestro di Martinengo non si sa nulla di preciso. Nessun testo, nessun documento di archivio ci ha finora aiutato a comprendere quale artista sia passato da Martinengo nella seconda metà del Quattrocento, presumibilmente negli anni Settanta, per mettere la sua arte a servizio dei conventi francescani del paese. Non sappiamo nemmeno se a sceglierlo furono i francescani che abiteranno quei complessi, il loro committente Bartolomeo Colleoni o qualcun altro.
Sappiamo però, e questo è fuor di dubbio, che affrescò con un tratto ben riconoscibile il tramezzo del Monastero di Santa Chiara e l’arco trionfale e parte del chiostro del Convento della Beata Vergine Incoronata, per limitarci a ciò che possiamo ancora vedere.
Capiamo dallo stile che la su formazione fu provinciale ma che non per questo la sua visione fu limitata: pur non ritrovandolo, per ora, al di fuori del nostro borgo, percepiamo il suo costante aggiornarsi sui modelli dei grandi pittori a lui contemporanei e che lo hanno preceduto. Probabilmente non li conobbe di persona, ma venne a contatto con la loro opera grazie alle stampe e alle copie che già nel XV secolo circolavano in abbondanza.
Così, osservando gli affreschi del tramezzo del Monastero di Santa Chiara cogliamo significative somiglianze tra la sua Deposizione di Cristo dalla Croce e quella di Mantegna, e tra il San Francesco che riceve le stimmate di Martinengo e la stessa scena affrescata da Giotto nella Basilica superiore di Assisi, quasi una copia. Lo stesso soggetto tra l’altro lo ripropone, forse ancor più somigliante, nel chiostro dell’Incoronata; strappato dalla parete lo si può ora trovare nella Sala Capitolare.
Sempre all’Incoronata, anche l’arco trionfale porta la sua firma: una Sacra Conversazione, un San Francesco tra Sant’Antonio da Padova e San Bernardino da Siena e un’Annunciazione: è stata soprattutto quest’ultima ad aver attirato l’interesse degli studiosi, che ravvisano nel rigoroso impianto prospettico delle case della città sullo sfondo l’influenza del giovanissimo Mantegna padovano, quello della Cappella Ovetari nella chiesa degli Eremitani.
Al di là dunque delle fitte ombre che circondano la sua figura, il Maestro di Martinengo ci restituisce l’immagine di un artista misconosciuto e dal raggio d’azione circoscritto ma certamente aggiornato sui tempi.
Bartolomeo Colleoni
Nasce a Solza (BG), figlio di Paolo e Riccadonna Sanguini de’ Vavassori di Medolago, una famiglia di stirpe longobarda. Sulla sua data di nascita non vi è certezza: leggendo l’epigrafe sul suo sepolcro si risale al 1395 ma il suo biografo ufficiale, il contemporaneo Antonio Cornazzano, indica quale data di nascita l’anno 1400. Il condottiero è ricordato specialmente per essere stato l’ultimo Capitano Generale delle milizie veneziane, dopo aver combattuto sia per il Ducato di Milano che per la Repubblica di Venezia.
Colleoni inizia la sua carriera militare come scudiero presso Filippo Arcelli, signore di Piacenza, all’età di 14-15 anni. Tra il 1428 e il 1430 si distingue nell’assedio di Bologna, ove combatte per Papa Martino V. Il suo nome comincia a diffondersi tanto da essere notato da Venezia, a servizio della quale entra nel 1431 in qualità di luogotenente del Carmagnola. In quello stesso anno si distingue nell’attacco a Cremona del 17 ottobre, che invece costerà l’accusa di tradimento e l’esecuzione al suo comandante. Venezia gli concede il feudo di Bottanuco. È l’inizio del suo consolidamento patrimoniale.
Dopo la pace di Ferrara del 1428, si ritira nei suoi possedimenti bergamaschi che comprendevano Martinengo, Urgnano, Romano e Malpaga, sua residenza di rappresentanza. Sposa Tisbe Martinengo, appartenente a una delle famiglie più importanti della nobiltà bresciana: è infatti figlia di Gaspare Martinengo, comandante dell’esercito veneto. Il matrimonio, che comporta un’alleanza tra le due famiglie, lo proietta in un ambito sociale, militare e geografico più ampio ed elevato: i Martinengo costituivano, infatti, un consorzio parentale particolarmente ricco e potente sia politicamente che militarmente, con grandi possedimenti a Martinengo, a Brescia e in Val Camonica.
Nel 1437 si riaccende la guerra tra Venezia e Milano; in questo frangente l’anno seguente il Colleoni difende Bergamo dall’attacco di Niccolò Piccinino, capitano generale di Filippo Maria Visconti.
Nel 1441 firma con Venezia una condotta particolarmente vantaggiosa con cui ottiene, fra l’altro, i feudi di Romano di Lombardia, Covo e Antegnate. Ma di lì a poco i rapporti con la Serenissima entrano in crisi e il condottiero passa al servizio del Visconti; il servizio tuttavia è travagliato a causa dei rapporti tumultuosi col Piccinino: viene accusato di connivenza e imprigionato per un anno ai Forni di Monza. Fugge dopo la morte del Visconti (1447), passando alla neonata Repubblica Ambrosiana chiamato da Francesco Sforza, al momento Capitano Generale della Repubblica stessa.
Il 18 ottobre 1447 guida un’epica azione militare durante l’assedio del castello di Bosco Marengo, che oppone Milano alla Francia : Carlo il Temerario di Borgogna lo vuole al suo servizio.
Il 15 giugno 1448 passa nuovamente al servizio di Venezia, coprendosi di gloria e accumulando un’enorme ricchezza; tuttavia per gli intrighi di Gentile da Leonessa deve fuggire per evitare l’arresto ordinato dal Doge e riparare presso Francesco Sforza, diventato signore di Milano, rimanendovi al servizio tra il 1452-53. Il 15 febbraio 1453, lascia Milano e torna a Venezia. Ottiene dalla Repubblica grandi riconoscimenti, anche politici, e la promessa del comando generale.
Questo finalmente giunge nel 1454: alla Pace di Lodi segue un periodo di inattività.
Dopo la nomina cui ambiva da sempre, nel 1454 il condottiero viene infeudato dalla Serenissima di un grande territorio, che da lui prese poi il nome di “feudo colleonesco”, a cui viene garantito sotto il suo dominio un ventennio di pace e di prosperità, conclusosi nel 1475 con la sua morte. Il feudo comprendeva, oltre a Martinengo, anche i comuni di Romano di Lombardia, Urgnano e la frazione della Basella, Cortenuova, Cologno al Serio, Cavernago, Antegnate, Calcinate, Castell’Arquato, Cavenago d’Adda, Covo, Malpaga, Mornico al Serio e naturalmente Solza . A Malpaga riadatta una vecchia torre d’avvistamento con un piccolo castello trecentesco, dando origine al suo castello, esempio di vita cortese nella bassa.
Il 15 maggio 1475 restituisce alla Serenissima il bastone del comando e inizia a smobilitare le sue truppe. Venezia, consapevole della ormai prossima fine del proprio condottiero -nelle paludi di Molinella aveva contratto la malaria che lo indebolisce sempre più-, respinge le sue dimissioni e gli affianca tre provveditori con funzioni amministrative e di controllo, sapendo che Colleoni le avrebbe lasciato in eredità la maggior parte del suo patrimonio: diverse proprietà immobiliari e una somma di oltre 300.000 ducati.
Il 3 novembre 1475 muore nel castello di Malaga. Dopo avergli tributato funerali solenni, Venezia recupera tutte le concessioni feudali elargitegli. Nel testamento vi era un legato a carico di Venezia: l’elevazione di un monumento in suo onore nella piazza San Marco: la Repubblica, timorosa del culto della persona, onora solo parzialmente questo legato.
La sua tomba è rinvenuta il 21 novembre 1969 nella Cappella Colleoni di Bergamo.
La discendenza
Bartolomeo Colleoni morì senza una diretta discendenza maschile, ma ebbe otto figlie, tra legittime e illegittime.
Tra queste la più (tristemente) famosa è sicuramente Medea, la prediletta, morta quattordicenne e sepolta fino al 1842 nel santuario della Basella di Urgnano, quindi traslata nella Cappella Colleoni in Città Alta, vicino al padre.
Le altre tre, Orsina, Caterina e Isotta furono date in sposa a membri della famiglia bresciana dei Martinengo, che erano tra i principali collaboratori militari del Colleoni.
Cassandra e Polissena, sposarono rispettivamente Niccolò II da Correggio e Bernardo da Lodrone. Le ultime due, Riccadonna e Doratina, ancora nubili alla morte del padre, sposarono in seguito due membri dell’importante famiglia veneziana dei Barozzi, portando cospicue doti provenienti dalle proprietà del padre.
Nel particolare Bartolomeo e Tisbe Martinengo ebbero tre figlie di rilevanza dinastica:
La primogenita Orsina (o Ursina), sposa di Gherardo Martinengo, che divenne conte di Malpaga come successore del suocero, adottandone anche il cognome; i figli quindi presero il nome di Martinengo-Colleoni e furono i maggiori beneficiari del suo testamento.
Caterina, sposò Gaspare Martinengo, dando origine ai “Martinengo delle Palle”;
Isotta, sposò Giacomo Martinengo, dando origine ai “Martinengo della Motella”.
Il committente
A imperitura memoria del Colleoni rimangono il monumento equestre del Verrocchio a Venezia e la Cappella Colleoni a Bergamo Alta, capolavoro architettonico di Giovanni Antonio Amadeo. Tuttavia il condottiero in prima persona commissionò importanti edifici: si è già detto del Castello di Malpaga. A Martinengo, sua terra d’elezione dove fece risiedere la sua famiglia nella Casa del Capitano, realizzò due conventi, entrambi francescani: quello di Santa Chiara -eretto in onore di un voto della moglie- e quello della B.V. Incoronata .
Anche Tisbe fece costruire edifici religiosi, molti andati distrutti, come la chiesa di Santa Maria Maddalena a Romano di Lombardia, distrutta ad inizio XVI secolo per edificare la basilica di San Defendente.
Il condottiero non trascurò nemmeno le iniziative benefiche: il 19 febbraio 1466 fonda il Luogo Pio della Pietà Istituto Bartolomeo Colleoni, con sede nella sua residenza bergamasca. Scopo: fornire doti alle fanciulle povere e legittime nate in territorio bergamasco al fine di facilitarne il matrimonio. L’ente, tuttora esistente, opera negli ambiti di filantropia, beneficenza e promozione di iniziative storico-culturali legate alla figura del condottiero.
Fu inoltre fautore di una lungimirante politica di gestione delle acque nella provincia di Bergamo. Per esempio si rese inoltre promotore della ristrutturazione delle terme di Trescore Balneario, in quei tempi in stato di completo abbandono. Ottenute le concessioni dalla Repubblica di Venezia il 26 novembre 1469 le abbellì, ampliandole e rendendole efficienti.
Gabriele Tadino
La famiglia di Gabriele Tadino è originaria di Caravaggio, dove era conosciuta anche dai Visconti. Il nonno, Michele Tadino, nel 1434 si trasferisce a Martinengo esercitando come medico condotto. Il 26 gennaio 1446 Bartolomeo Colleoni lo nomina medico dell’esercito veneziano; ottiene così la cittadinanza bresciana. Suo figlio Clemente continua l’attività di medico. Dei quattro figli maschi di quest’ultimo i primi tre, Giovan Francesco, Gerolamo (morto nel 1526) e Gabriele, si dedicano alla carriera militare, il quarto, Michele, alla medicina. C’è anche una figlia, Tranquilla. Dalle date di nascita dei fratelli si deduce che Gabriele nasce tra 1476 e il 1479. L’anno più probabile è il 1478.
Terminati gli studi di scienze e difese militari nel 1508 Gabriele si arruola nell’esercito della Repubblica di Venezia come soldato e ingegnere militare. Tra i primi incarichi figurano gli interventi sulle fortificazioni di Crema nel 1513.
Qualche anno dopo lo ritroviamo a Creta, dove viene nominato sovrintendente delle fortificazioni nel 1521, potenziandole sensibilmente. A Candia esiste tuttora un bastione chiamato “bastione Martinengo“, rielaborazione in tempi successivi di un torrione rotondo costruito proprio nel 1521.
Era appunto impegnato in questo compito quando nel 1522 frate Antonio Bosio richiede il suo intervento nella difesa di Rodi, assediata dai Turchi; tuttavia il governatore di Candia gli nega il permesso di partire. Tadino si risolve allora di imbarcarsi di nascosto dalle autorità venete e parte per l’isola.
Qui è accolto con grandi onori: diviene responsabile della difesa della città ed entra nell’ordine dei Cavalieri gerosolimitani. Gli emblemi dell’ordine sono appunto esibiti con fierezza nel ritratto che Tiziano esegue nel 1538, ora conservato presso la Cassa di Risparmio di Ferrara. Il ritratto lo raffigura mancante dell’occhio destro, perso per un proiettile di archibugio passato attraverso una feritoia proprio mentre esaminava le fortificazioni di Rodi.
Tadino diede il suo notevole contributo nella messa a punto di strumenti atti a individuare le gallerie in costruzione da parte dei Turchi e nella preparazione di contromine, che fecero stragi nell’esercito assediante. Ciononostante, dopo una strenua resistenza di oltre quattro mesi Rodi si arrende a Solimano I. Gli assediati lasciano l’isola.
Nell’agosto del 1526 Tadino si reca nel regno di Napoli, dopo aver visitato il suo priorato di Barletta, per esaminare lo stato delle fortificazioni; nella città partenopea lo raggiunge una missiva di Carlo V che richiede urgentemente la sua presenza a Genova, assediata per mare e per terra dai francesi. Dopo alterne vicende, nelle quali rimangono uccisi suo fratello Girolamo e suo cugino Fabrizio, in una battaglia nei pressi di Sampierdarena (agosto 1527) le truppe imperiali sono sconfitte dagli uomini di Cesare Fregoso che occupa la città e cattura Tadino mentre cerca salvezza su una barca, tenendolo prigioniero fino all’ottobre del 1527.
Sicuramente però tra gli assedi passati alla storia a cui Tadino partecipa quello più noto è l’assedio di Vienna. Nel 1532 si era radunato a Vienna un potente esercito (le fonti riportano un numero che si aggira tra i duecento e i trecento mila armati) per contrastare l’arrivo di Solimano deciso a conquistare la città. La difesa è capitanata da Antonio de Leyva, affiancato da don Ferrante Gonzaga, comandante della cavalleria leggera, e dal nostro Gabriele Tadino in qualità di comandante dell’artiglieria. Il pericolo di un attacco turco alla porta d’Europa viene fortunatamente scongiurato perché Solimano giunge vicino a Vienna alla fine di settembre e rinuncia all’impresa prevedendo troppo difficoltà dovute sia al maltempo sia all’imponenza dell’esercito a difesa della città.
Gabriele Tadino muore a Venezia il 4 giugno 1543. Viene sepolto a Venezia nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo dove, in quegli stessi anni, si stava erigendo per decreto del Consiglio dei Dieci, il monumento equestre ad un altro importante bergamasco: Bartolomeo Colleoni.
Curiosità
– Pare che Galileo Galilei abbia chiosato a margine un’opera dialogica del matematico Niccolò Tartaglia (Quesiti ed invenzioni diverse) in cui Tadino è l’interlocutore principale. Tadino e Tartaglia si conoscevano fin dai tempi del sacco di Brescia (1512), quando Tartaglia era ancora fanciullo, ed erano indubbiamente in rapporti di amicizia se si considera che il matematico ha dedicato all’ingegnere la sua traduzione prima dell’Euclide megarense.
– Sia Clemente Tadino che i figli Giovan Francesco, Gabriele e Michele appaiono nell’elenco dei consiglieri del comune di Martinengo.
Giuseppe Murnigotti
Giuseppe Murnigotti nasce a Martinengo nel 1835 da una famiglia benestante. Si laurea in ingegneria ed esercita la sua professione principalmente tra Bergamo e Milano. Nel 1868 è tra i fondatori dell’Ordine degli ingegneri e degli architetti di Milano.
Nel suo paese natale costruisce la cappella centrale del cimitero. Ma notevoli sono i suoi progetti edilizi per il centro di Bergamo, che verranno bocciati dalla commissione originaria ma comunque utilizzati nei decenni successivi; suo è anche il progetto per la creazione del Parco Sempione a Milano, dietro il Castello Sforzesco.
Partecipò anche al concorso indetto per allargare il canale di Suez, mettendo a punto un innovativa tecnica di costruzione.
4 febbraio 1879: L’invenzione della motocicletta
Non fu quella l’unica innovazione che mette a punto: nel corso della sua vita deposita il brevetto per ben cinque progetti, uno dei quali destinato a incidere profondamente nel mondo dei trasporti.
Crea un metodo per comprimere pietre cementizie; la tecnica di costruzione delle gallerie a cunei di cemento; la mantellata per le sponde dei fiumi; il velocigrafo per locomotive; ma soprattutto nel 1879 applica un motore a combustione interna a quattro tempi ad un velocipede e ad un triciclo, brevettando così la prima motocicletta, ben sei anni prima di Gottlieb Daimler, al quale tuttavia viene (tuttora) attribuita l’invenzione.
Il giusto riconoscimento all’ingegnere bergamasco avviene attorno al 1937 ad opera del giornalista Giovanni Canestrini, tra gli ideatori della Mille Miglia, che ritrova i documenti del brevetto mentre svolge ricerche per la redazione un volume dedicato alla storia dell’automobile.
Ecco quanto riporta il registro dell’Ufficio brevetti di Roma:
Progetto di una motocicletta a due tempi a combustione gassosa e Progetto di un triciclo con lo stesso motore e con la possibilità di trasportare due passeggeri.
Ufficio brevetti Reg.ro Gen.le Vol.e 13 N 10672
Archivio Centrale di Stato, Roma
Reg.ro Gen.le Vol.e N.o 10672
Descrizione del trovato che ha per titolo Velocipede con motori a Gaz.
“La presente invenzione consiste nel mettere in moto un Velocipede usando della forza sviluppata dai gaz esplodenti, cioè sostituendo la forza di un motore a gaz infiammabile a quella che fa il Velocipedista”.
Quindi continua spiegando tramite dimostrazione matematica la velocità che tali veicoli potevano raggiungere, 20 km/h. “Da una formula trovata dal matematico MacQuorn Rankine risulta che la forza che sviluppa un Velocipedista per muovere a corsa ordinaria il proprio velocipede è uguale a quello che lo stesso Velocipedista eserciterebbe per salire ad un’altezza uguale ad un quarantesimo del viaggio percorso. Per esempio, con lo sforzo fatto per percorrere un Chilometro, salirebbe ad un’altezza di 25 metri. Ora, secondo Morin, un uomo salendo va di una velocità di Mhertz 0,15 al minuto secondo, sviluppando Kilogrammetri 9,75, ciò che vale a dire che in due minuti primi e 46 secondi salirà all’altezza di 25 metri, e per caso nostro che un velocipedista percorrerà in egual tempo 1000 metri, che equivale a circa 20 Kilometri ogni ora consumando una forza di Kgm 9,75 = 0,13 (Kgm = Kilogrammetri) di Cavallo Vapore.”
Naturalmente il primo assetto di questo nuovo mezzo era un po’ diverso da quello attuale. Come detto poteva trasportare due o tre persone, compreso il conducente. Per questo motivo si può tranquillamente rintracciare nel triciclo a motore anche l’origine dell’automobile.
Scrive Murnigotti: “I motori a gas si possono applicare ai velocipedi a due o più ruote, servibili a una o più persone. Solo converrà variare la capacità del recipiente del gas e la forza di trazione di questo, col variare del numero delle ruote o del carico o del tempo pel quale vuolsi che la carica del gas duri”.
Il conducente azionava il motore girando la manovella anteriore e dava la direzione grazie a una sbarra asta che manovrava con un timone, girando la ruota posteriore del velocipede. In ogni caso la ruota posteriore poteva diventare quella anteriore dal momento la posizione di guida era invertibile, non essendo il mezzo dotato di retromarcia.
Murnigotti non costruì mai un prototipo del “Velocipede”. Forse questo avrebbe contribuito a tenere alta l’attenzione sul suo lavoro invece di farlo cadere quasi completamente nell’oblio.
Girolamo Poloni
Girolamo Poloni nasce a Martinengo il 13 novembre 1877, figlio di Battista Poloni e Rosa Conti. Studia arte all’Accademia di Brera di Milano, sotto la direzione di Ludovico Pogliaghi, noto pittore e scultore, sotto le cui direttive eseguirà uno dei suoi maggiori lavori: il restauro al Sacro Monte di Varese. Terminati gli studi, l’Accademia gli assegna per due anni la cattedra di pittura e restauro. Il 21 gennaio 1902 sposa a Martinengo Luigia Doria, dalla quale ha quattro figli: Andrea, nato il 10 novembre 1902 e morto in tenerissima età, Giuseppina (17 settembre 1905), Rosa (11 ottobre 1907) e Maria Giovanna (17 settembre 1910).
In seguito Poloni, schivo di natura e poco incline a entrare in alcun circolo o semplicemente ad abbracciare una delle correnti artistiche del tempo, torna definitivamente a Martinengo stabilendosi nel suo studio al n. 50 di via Locatelli (allora via Tadino) rapportandosi con amici pittori come lui attaccati alla tradizione, lavorando principalmente per una committenza ecclesiastica. La sua pittura, caratterizzata da uno stile pulito non privo di pathos e da colori luminosi, ispirato al Settecento veneto, inizia presto a riscuotere successo anche al di fuori della provincia di Bergamo, o meglio soprattutto al di fuori di Bergamo: qualcuno scrisse che era più famoso in Brianza, in Piemonte e in Liguria, persino in Svizzera, che non nel suo paese e nella sua provincia.
Muore improvvisamente il 1 aprile 1953 a Milano.
Di seguito l’elenco delle principali opere:
Martinengo
Tra i suoi primi lavori per il paese natale sono i due Angeli che trasportano in volo una salma sulla facciata della Cappella Centrale del Cimitero, ormai scomparsi. Del 1910 sono i quattro tondi con angeli che reggono i simboli della fede cristiana sulla volta dell’aula pubblica della chiesa del Monastero dell’Incoronata e il restauro degli affreschi del frontale. Non è chiaro se in quest’occasione si avvalga dell’aiuto del concittadino Tito Poloni, anch’esso restauratore e freschista, o se sia lui a collaborare col suo compaesano.
Di committenza privata è invece la decorazione, tra il 1907 e il 1910, di una sala della splendida Villa Allegreni che ha come soggetto l’Aurora circondata da putti, ninfe e satiri.
Nel 1936 dipinge l’affresco dell’altare del Sacrario dei Caduti, nell’ex Convento di Santa Chiara, raffigurante Cristo sofferente che sostiene un soldato morente, circondati da angeli. Nel 1950 torna a lavorare per la chiesa dell’Incoronata, realizzando la pala dell’altare della cappella dedicata a Santa Elisabetta Cerioli, beatificata proprio quell’anno da papa Pio XII.
Al 1949 risale la Madonna con Bambino affrescata nel tondo centrale della facciata del santuario della Madonna della Fiamma. Quest’opera è molto rovinata ma nella collezione del nipote dell’artista, Bruno Bozzetto, è conservato il cartone.
Nel 1953 realizza due lunette sopra il portale d’ingresso dell’oratorio del paese: Madonna con Bambino e Angeli e San Giovanni Bosco tra i fanciulli.
Non datato invece è il l’olio su tela Mater Purissima appartenente alla quadreria parrocchiale.
Bergamo
Moltissime sono le chiese della provincia di Bergamo nelle quali possibile rintracciare la sua mano.
- Arcene, decorazioni della volta della parrocchiale (1905)
- Pagazzano, chiesa parrocchiale
- A Tagliuno realizza dieci inserti iconografici a grisaille per le vetrate della chiesa parrocchiale (1907)
- Cavernago, decorazione della volta della chiesa (1909)
- Tra il 1910 e il 1912 è uno degli artisti chiamati a partecipare all’esecuzione degli affreschi delle volte e dell’abside nella parrocchia di Sotto il Monte, assieme a Umberto Marigliani, Alberto Maironi e Abramo Spinelli.
- Verdellino, nella chiesa di S. Ambrogio realizza dieci figure monocromatiche di santi
- Comun Nuovo, tre medaglie per la volta della parrocchiale (1913)
- Nona in Valle di Scalve, dipinge gli affreschi della volta della parrocchiale con Giuseppe Gaudenzi (1922)
- Rosetta, affreschi della cupola nella parrocchiale, ai quali lavora con i fratelli Zappettino
- A Romano di Lombardia esegue diverse commissioni: pala d’altare della chiesa di S. Defendentino, dipinta ad olio, raffigurante l’Immacolata con S. Antonio e S. Defendente (1921) in occasione delle feste centenarie dell’apparizione; la Natività di Gesù, dipinta a fresco in una nicchia sopra l’altare nella Chiesa della Madonna del Ponte; la Deposizione, affresco situato sotto i Portici della Misericordia, realizzato nel 1931 a perenne ricordo del Giubileo della Redenzione, come si desume dalla scritta latina del fregio
- Sola, affresco della Madonna del Soccorso nella tribuna dei Morti del Dosso (1932)
Altre province
Come detto la fama di Girolamo Poloni travalica i confini della provincia bergamasca. Apprezzatissimo nel nord Italia, si possono seguire le sue tracce anche oltre confine, in Svizzera. Ne presentiamo di seguito un elenco:
- Per prestigio è d’obbligo citare anzitutto la decorazione della Sala delle Cariatidi al Castello del Valentino a Torino.
- Fontanella di Boves (Cuneo), Crocifissione e una variante della pala del Sacrario dei Caduti di Martinengo (1940)
- Vallecrosia (Imperia), decorazione della cappella delle suore salesiane
- Gorgonzola (Milano), frescatura di una parete della cappella dell’Istituto Immacolata (1953)
Numerosi anche i lavori per la città e la provincia di Varese:
- restauro per il Sacro Monte di Varese (1922 al 1928)
- Marzio, decorazione di cupola e pennacchi della chiesa parrocchiale con la Gloria di San Sebastiano
- Casbeno, Battesimo di Cristo (1938)
- Luvinate, Martirio dei SS. Ippolito e Cassiano e decorazione delle vetrate della chiesa
- Angera, Battesimo di Cristo (1923)
- Busto Arsizio, una notevole Ultima Cena e il Miracolo di Torino (1948-49)
- Cadenabbia
- Caronno Varesino, Cena in Emmaus e Sacrificio di Melchisedek (1921) e ciclo della Vita di S. Vincenzo (1926)
Ad Arogno (Canton Ticino, Svizzera) nel 1931 realizza una Madonna del Latte poi replicata a distanza di vent’anni nella cappella dell’Ospedale di Circolo di Varese.
Occasionalmente torna a lavorare per una committenza privata come a Como, con gli affreschi di Villa Carlotta, e a Genova, dove realizza alcuni affreschi nel palazzo del Marchese Medici.
Oltre a queste opere di maggiore respiro e di committenze più o meno ufficiali, Poloni ha però eseguito anche un notevole numero di bellissimi ritratti a olio e a pastello raffiguranti familiari ed amici: una produzione delicata, di carattere intimo e privato, nella quale i personaggi sono ritratti in un’atmosfera domestica e avulsa da tempo e spazio.
Natale Morzenti
(Silvano d’Orba (AL), 1885 – Martinengo , 1947)
VOCE IN COSTRUZIONE